Il
nome Vesuvio (in latino classico Vesuvius;
attestato anche come Vesevius, Vesvius, Vesbius)
è presumibilmente d'origine indoeuropea, da una base *aues,
"illuminare" o *eus, "bruciare".
Il monte
Vesuvio è un vulcano esplosivo attivo (in stato di quiescenza
dal 1944), situato in Campania, nel territorio dell'omonimo
parco nazionale istituito nel 1995. La sua altezza,
al 2010, è di 1.281 m; sorge all'interno di una caldera di
4 km di diametro. Quest'ultima rappresenta ciò che è rimasto
dell'ex edificio vulcanico (Monte Somma) dopo la grande eruzione del
79 d.C., che determinò il crollo del fianco sud-orientale in
corrispondenza del quale si è successivamente formato il cratere
attuale. È attualmente l'unico vulcano attivo di tutta
l'Europa continentale.
È
uno dei vulcani pericolosi più studiati al mondo; ciò è dovuto al
fatto che sulle sue pendici abitano circa 700.000 persone e le
conseguenze dell'eruzione sarebbero estremamente devastanti.
Nel
1997 il Vesuvio è stato eletto dall'Unesco tra le riserve
mondiali della biosfera.
Nel 2007 il
Vesuvio è stato proposto alla selezione per eleggere le sette
meraviglie del mondo naturale come Bellezza naturale italiana,
non riuscendo però ad essere eletto dopo essere arrivato in finale.
La
grande eruzione
Pompei
il 24 agosto del 79 d. C.
L'eruzione
del 79 d.C è senza dubbio la più nota eruzione del Vesuvio e forse
la più nota eruzione vulcanica della storia.
Questa è stata
descritta da Plinio il Giovane in due famose lettere a Tacito, che
costituiscono dei preziosi documenti per la vulcanologia.
Nelle lettere egli racconta
della morte dello zio, Plinio il Vecchio, partito da Miseno con una
nave per portare soccorso ad alcuni amici. Da qui la denominazione di
eruzione pliniana per questo tipo di fenomeno particolarmente
violento e distruttivo.
In
epoca romana, all'inizio del primo millennio, il Vesuvio non era
considerato un vulcano attivo e alle sue pendici sorgevano alcune
fiorenti città, che si erano sviluppate grazie alla bellezza e alla
fertilità dei luoghi. Nel 62 d.C. l'area vesuviana fu colpita da un
forte terremoto, che provocò il crollo di molti edifici e produsse
danni anche a Nocera e a Napoli. All'epoca non fu ipotizzata alcuna
relazione tra il terremoto e la natura vulcanica dell'area.
Il
24 agosto dell'anno 79 d.C. il Vesuvio rientrò in attività dopo un
periodo di quiete durato probabilmente circa otto secoli, riversando
sulle aree circostanti, in poco più di trenta ore, circa 4 Km3 di
magma sotto forma di pomici e cenere.
L'eruzione
ebbe inizio intorno all'una del pomeriggio del 24 agosto con
l'apertura del condotto a seguito di una serie di esplosioni
derivanti dall'immediata volatilizzazione dell'acqua della falda
superficiale venuta a contatto con il magma in risalita.
Successivamente una colonna di gas, ceneri, pomici e frammenti litici
si sollevò per circa 15 km al di sopra del vulcano.
Questa
fase dell'eruzione si protrasse fino all'incirca alle otto del
mattino successivo, e fu accompagnata da frequenti terremoti.
Approfittando nella notte di una apparente pausa nell'attività
eruttiva, molte persone fecero ritorno alle case che erano state
lasciate incustodite. Ma furono sorprese nella mattinata dalla
ripresa dell'attività durante la quale si verificò il collasso
completo della colonna eruttiva, che determinò la formazione di
flussi piroclastici che causarono la distruzione totale dell'area di
Ercolano, Pompei e Stabia.
Nella
parte terminale dell'eruzione, avvenuta probabilmente nella tarda
mattinata del 25 agosto, continuarono a formarsi flussi piroclastici
i cui depositi seppellirono definitivamente le città circostanti,
mentre una densa nube di cenere si disperdeva nell'atmosfera fino a
raggiungere Capo Miseno.
Ercolano
Già
gravemente danneggiata dal terremoto del 62, la città venne poi
distrutta dall'eruzione del Vesuvio nel 79, che la coprì con
un'ingente massa di fango, cenere ed altri materiali eruttivi
trascinati dall'acqua piovana che, penetrando in ogni apertura, si
solidificò in uno strato compatto e duro di 15-20 metri.
L'eruzione
del Vesuvio si articolò in due fasi: la prima fu della durata
complessiva di 12 ore, con caduta di pomici bianche e grigie; la
seconda della durata di sette ore costituita dall'alternarsi di nubi
ardenti e di colate piroclastiche. E fu quest'ultima che colpì
principalmente Ercolano, seppellendola sotto una coltre di oltre 20
metri.
A
seguito di analisi termogravimetriche si è sostenuto che la
temperatura fosse di circa 300-320 °C. Questa temperatura avrebbe
permesso la conservazione dei papiri, ritrovati nella villa
conosciuta come Villa dei Pisoni, che si sono conservati in
condizioni più o meno buone a seguito di un processo di
carbonizzazione. Se ciò fosse vero non si capirebbe come in alcuni
edifici, ad esempio nelle Terme suburbane, il legno si conserva nel
colore naturale: una porta gira ancora sui cardini originali. Si può
supporre che un'elevata temperatura abbia coinvolto solo alcune zone
della città.
posizione di Ercolano nella provincia di Napoli |
di S. Galli
sempre interessanti i vulcani ...Silvia
RispondiEliminaè vero...ma anche PAUROSI...non si sa mai cosa nascondono all'interno:LAVA!!
EliminaChe paura... Se fossi stata nei panni degli abitanti di Pompei non sarei morta per il vulcano, ma solo per infarto!
RispondiEliminaChe impressione la forma dei corpi morti!!!!!
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